Il cieco stava di bieco, chissà cosa annusava. Lo seguii con lo sguardo, un sapore che certo doveva parergli noto. Ruoto’ il collo rugoso verso il mio gusto, quella fragranza decisamente mia.
“Gustave!” disse.
Tossii per emulare presenza, un’entrata improvvisa, insomma.
“Salve, Charlie”.
Sorrise, quel cane!
Vedere le sue labbra aprirsi a denti sudici e scalfiti, mi dava noia. Così come quel sesto senso.
“Ancora stai a scrivere?!” chiese, chiudendo il sorriso in un’espressione di biasimo.
“Ancora cerchi di far luce, Charlie?! Ciò che non vedi, e’ ciò che c’è!”.
“Ma figurati! Sto cercando il mio bastone. E’ un vecchio noce, impastato con la merda. Ho calpestato anche quella finora”.
“Cosa vuoi dirmi?! Che le mie storie vivono di troppi odori?! Non sono forse un narratore di verità?”.
“Puoi narrare tutta la verità che ti pare. Ma ci devi essere dentro, Gustave. Devi vivere e sporcarti d’inchiostro”.
“Che verità puoi mai conoscere, Charlie?! L’impressione di ciò che annusi. Non ciò che vedi. Adeguo la scrittura alle immagini e le dipingo col mio inchiostro!”.
L’impertinenza di Charlie era imbarazzante: impressioni di odori. Cosa poteva vedere davvero un cieco? Nemmeno i suoi occhi di bambino avevano goduto della luce. Un buio immobile, una sagoma senza forma. Ecco quel che vedeva, il povero Charlie.
“C’è di buono, amico mio, che il mio bastone ha i visto i miei passi. Quelli che non vedo io, invece. C’e’ di buono anche, che ha assaggiato ciò che mi ha preceduto: un terreno molle, scivoloso, un intralcio. Merda. Con lui ho scritto un percorso. La tua penna cosa ha scritto, idiota?!”.