Come al solito, ero in ritardo.
La condizione di ritardatario è una prerogativa del mio DNA, al punto che preferisco credere che sia in anticipo col passato (che in pratica è la stessa cosa, ma con più romanticismo!).
Ero in ritardo con mio padre.
QuestoSaràUnConcettoRicorrente.
Il ritardo, a dirla tutta, è il mio più grande dramma, poiché sono l’esperimento non riuscito, il prototipo del NonUomo, puntual-mente assente nei momenti seri, dove per serietà, lui – mio padre – intende le classiche situazioni nelle quali il VeroUomo toglie la tutina da neonato e decide di indossare la cravatta.
Secondo lui, il genere umano si distingue in due categorie: gli in-fanti e gli adulti. Non vi è una stagione intermedia.
Io ero un infante.
[…]
Ero in ritardo anche quel giorno.
Il funerale di mio zio, fratello di mio padre.
Riesumai la cravatta dal cassetto della ZonaCheNonToccoMai, l’avrei indossata su di una camicia bianca e dei jeans scuri. Naufragavo nella mia camera alla ricerca di un pezzo di vetro riflet-tente.
Uno specchio.
Cravatta fa coppia con specchio, sempre.
Ho divorziato da specchi e cravatte perché le coppie mi danno nausea: trovo nell’unicità dell’essere, la mia vera forza.
Coppia era sinonimo di debolezza, come dover cedere una parte di se stessi a una persona che avrebbe avuto accessi illimitati nelle zone più intime. Io e basta. Non ero egoista, ma preferivo esser unicamente solo.
(da ‘L’uomo senza specchio e cravatta’ – Edizioni Il Pavone 2012)