Quando torno sul divano, vuol dire che è finita.
Ricomincia la vita: il mio piatto preferito nel quale continuo ad assaggiare straccetti di storie, condite da rimbalzi e altalenati emozioni.
Disteso, con lo stomaco all’insù, sento una nuova fame. Borbotta in una lingua nota lo stomaco messo a dieta, perché quando sei fuori casa, mangi quel che capita e non è mai quel che ti serve.
A spintoni, in serate innocue e compagnie di anime sole, si cerca il sollievo. E non è mai una bella occasione per saziarsi: è solo una carezza che procura appagamento, un solletico per il viso e una copertura momentanea per il vuoto dentro.
C’è di vero che ammettere il bisogno, è un bisogno stesso.
Perché non basta mai e muti, sorridiamo con la sfrontatezza di chi ha le tasche piene di ogni gioia.
Carta straccia. Davvero carta straccia.
E si torna a casa, per fare il punto della situazione.
Proiezioni e gorgoglii, si stampano sulle pareti. Le mie, sul soffitto, perché vivo disteso.
C’è chi ti ascolta, chi ti cerca, chi ti biasima e chi ti apprezza;
c’è il potere delle emozioni e l’incoscienza delle volontà.
E quando parla lo stomaco, non puoi fare altro che ingozzarlo e metterlo a tacere.
La fame che non senti, come un labiale che fraintendi, è un buco che resterà vuoto e prenderà polvere.
Come sbattere tappeti in casa e sorprendersi di non esser soli, ma conviventi della nostra stessa fame.
Disteso sul divano, ascolto il mio stomaco. Un boccone di scarti, solo per mettere il ‘mute’ e farlo tacere.
E ritorno coi piedi per terra. Sono felice.
Ho bisogno del mio bisogno, sapere d’esser privo di qualcosa. Conoscere il vuoto e affannarmi per saziarlo davvero. Ho bisogno di non sentirmi sazio. ho bisogno del mio divano perché è la zona franca, l’esame da superare: un nascondiglio e un punto di verità.
E di questa, non mi sazierò mai.