Se c’è un aforisma che prediligo del bombolaro, è questo:
“Beato te, che non capisci un cazzo!”.
Eh già, perché lui davvero vorrebbe ignorare la degenza, il via vai nelle corsie, le attese, i chilometri macinati come caramelle al fiele, una telefonata improvvisa, il saldo a fine mese, una famiglia da rincorrere e un amore da sostenere su un piede solo. Di cosa sto parlando, il bombolaro lo sa. E spero abbiate letto bene. BOMBOLARO. Non bombarolo. La differenza sta sempre nelle intenzioni e spesso coincide con un piccolo cambio di posto. Tipo il bene e il male: bisogna decidere dove stare. Sempre e a qualunque costo. Il bombolaro è il paradigma di vene e polmoni, stare bene-stare male, occhi socchiusi per un dolore e braccia sempre in movimento per non procurarne altro. Il bombolaro è divertente e non accetta una lacrima quando sgorga da un capriccio, perché sa che c’è chi di lacrime è gonfio ma deve trattenerle per non sprecare fiato prezioso. Quel che il bombolaro compie non è lavoro ma piacere mal corrisposto perché al meglio che possa andare, sarà costretto a rivedere i suoi clienti. Questi fanno rima con guadagno e l’unica moneta che tintinna a fondo cassa è l’acciaio di una bombola ancora da utilizzare. Il bombolaro sa, sa tutto come google e di risposte ne ha fin troppe: ormai ne digerisce a blocchi interi perché di domande s’è sempre cibato.
Caro amico bombolaro, questa è per te: trasporti ossigeno come alito di speranza e finché una strada sarà aperta, so di certo che non mancherai. Speranza di rivederti ancora, perché sei certezza tra tante incognite. L’ossigeno che offri è solo questo, il resto sono solo bombole: i tuoi pazienti lo sanno, ma non te lo dicono, perché vorrebbero che sia l’unica cosa che tu non sappia.