La nostra maledizione è esser pesanti. Un bagaglio zeppo di esperienze che s’aggrava man mano che gli anni passano sotto i piedi: li attraversiamo con le gambe che sorreggono non solo ossa ma anche carne rinvigorita e provata. Arriviamo in fondo, comunque. A fondo, anche. Perché è un bagaglio di scarpe usurate e camicie sudate: non solo puzza, ma pelle che si appiccica a giorni, volti, mani che incontriamo. Un bagaglio che ci ha mostrato le cose per quel che sono, perché si sono incollate sulla pelle, strati su strati, a ridosso di una camicia ben stirata. Ed è partita la danza del petto, quella del cuore, prima lenta poi intensa: esserci dentro non ci lega mai, ci appartiene insomma, è cosa nostra. Esser leggeri non è destino per quelli come noi: le camicie asciutte son per coloro che hanno tutto pronto. Noi invece siamo costretti a costruire, poco per volta e custodire. Tutto sulle spalle, tutto nel bagaglio.
Dunque, a modo mio, abbraccio questo destino. Lo voglio così. Non so essere altro da ciò che indosso, rischierei figuracce con me stesso, con quello che voglio, col mio zaino. Questa è la verità: abbraccio scarpe, camicie e il peso che sopporto. Siamo quel che nascondiamo e mai traspare e benché altri avvertiranno solo un odore, forse sgradevole, la vita è mistero che corre sulla pelle, su quella che abbiamo lasciato, quella che abbiamo guadagnato. Siamo tutto qui. Siamo tutto questo peso.