Novelle

C’era/C’è.

 

 

 

C’era il tuo vestito, l’ombra dei tacchi giù dal letto e la forma del tuo viso sul cuscino; c’era il profumo delle lenzuola calde; c’era la tua pelle sudata, striata da spasmi, e si confondeva tra le pieghe del pigiama arrotolato; c’era un capello, lungo, sottile, ambrato; c’era il risvolto dell’opaco drappo che calava dolce sul pavimento freddo; c’era il lanternino acceso e un cassetto che appena aperto, pareva respirare;

C’era la maniglia che pendeva, la porta triste che rincorreva un’improvvisa fuga e un fascio di luce che schizzava subito fuori. Ma non scappava. Ti cercava. Rincorreva i tuoi passi e il tepore della tua carne infreddolita; seguiva le tracce abbandonate dei tuoi respiri che, rubati di nascosto, parevano lamenti.

L’amore non ha a che fare con l’eterno, ma con l’immediato: attimi, percosse sul cuore che disturbano la monotonia. In un istante ti ho perduta e il battito è tornato indietro, su impulsi regolari, distanti l’uno dall’altro quanto lontane erano le tue carezze. Così ogni cosa, rimetteva le solite scarpe e ritornava sui suoi passi: riprendeva ad intonare monotonia, una cantilena regolare su giornate ordinarie.

Poi ti sei affacciata, nuda, raccolta in un plaid che sapeva di caffè caldo: una tazzina danzava tamburellando su un piattino nascosto tra le mani.

“Buongiorno!” – mi ha detto, e tutto dal passato si è fatto presente. Non c’era più il tuo vestito, l’ombra dei tuoi tacchi, la forma del tuo vestito, il profumo delle lenzuola e la tua pelle sudata nelle pieghe del pigiama arrotolato, né quel drappo scendeva dolce sul pavimento freddo; anche il lanternino s’era spento e il cassetto è tornato al suo posto.

Siamo soli. Solo noi.

Anche la porta sorride e la maniglia s’è ripresa. Ha chiuso su una stanza vuota di oggetti, piena di noi.

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