Di quel che la gente dice raccolgo solo strane virgole, poste di tanto in tanto sul soffitto del pensiero. Esse, come suono sordo di un’appendice, nascono senza magia e sentimento, sopravvivendo al discorso con respiri e contrazioni. A volte è solo un condimento, altre un sospirare che rompe l’intercalare, ma spesso senza volerlo, divengono l’espressione del cervello. Dal soffitto del pensiero si fanno spazio, si intrufolano con affanno tra le scale di una congettura e scendono non sul palato, né sul foglio, ma su occhi, labbra e naso.
Ho imparato a leggere anche virgole, perché son pause naturali e incondizionate: sono la voce della coscienza, l’espressione della verità. Una virgola non parla, si esprime. Occhi, labbra, naso. Esprimendo virgole, il corpo si scompone dinanzi a una bugia. E tante parole non raccontano per forza verità.