“Che ci fai qui?” chiesi allora.
”Don Pietro mi ha pregato di venirti a prendere. E’ troppo impegnato a chieder scusa alla suora…”
Immaginai stesse parlando della super suora.
Poi, quasi avesse pescato del fiato in sospeso, sparò d’un colpo.
”Ma che diavolo t’è venuto in testa? Che ci volevi fare con quella suora?! Ti sei innamorato di una giovane suora morta?! Alfredo, rispondi, perché davvero non so come prenderti. Stavolta rischi grosso!”
Myriam è un avvocato. Ecco perché parla così.
Io ero un fotografo. Ecco perché ho agito così.
”Quando scatti una foto, vedi solo quel che la gente vuole mostrarti. Un sorriso, un abbraccio, un bacio, il bisogno di sentirsi perfetti. E, questo, a me non bastava. Non avevo bisogno di manichini in posa. Avevo bisogno di fotografare la vita. Quando cogli l’istante di rabbia, quando lo proietti e lo imprigioni su una pellicola, credimi, lì ci passa la vita. Quando rubi una lacrima, quando affondi l’obiettivo in un cattivo pensiero, puoi applaudirti. […] Abbiamo il bisogno di sentirci sempre in vetrina, perché nessuno abbia nulla da ridire. Piuttosto, scegliamo un palcoscenico verso il quale poter puntare sempre il dito. Questa non è umanità. Sfortunatamente però, respiriamo grazie anche alle nostre debolezze. Quando la vita ti abbandona, son certo che un pezzo d’anima resti incollato sul viso: ed è quello che siamo davvero”
da L’abito non fa il morto