Accarezzo l’artiglio pronto al graffio, si dimena nel petto e schizza nello stomaco. Lo inseguo, gli rendo la mia ombra, leggo impronte e ne traduco veleno. Sanguina rabbia, l’artiglio disumano, perché cerca pace in un campo di zampe piantate: nuovi innesti che l’umano coltiva, irrorando fiele e semi smontati di passione. Non più colori tinteggiano il panorama, ma sfondi piatti sui quali rimbalza l’ostile mano di zampa, pronta a ledere e tracciare solchi di rabbia.
Non era un sogno. Solo un segno.
Il peggior segno sognato di una disumana paura: la violenza. Non lascia mai il segno, ma distrugge i sogni che di giorno cercano luce.
Rigami la faccia, disegna un volto nuovo, cancella pennellate rosee ora che hai piantato la rabbia su questi occhi, perché tanto farò finta di niente.
Il violento tuo saper fare è solo il violento tuo volere.
Hai già smesso di sognare, violento che non altro, perché sei un segno senza sogno