Novelle

La signora a rotelle

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Taratarata-ta-ta.
Taratarata-ta-ta.
Poi un attimo. Un po’ di fiato.
E ancora di nuovo, con la stessa frequenza di chi non fa più caso all’impertinenza di un fastidioso rumore, tirava dietro sé un vecchio carrello da massaia, telato di rosso. Così si assoggettava alla volontà della strada perché alla fine il disturbo diveniva consuetudine incline al percorso stesso.
La veterana, al secolo Maria Pia Nuoro, sceglieva sempre le ore più insolite della giornata per spostarsi da una piazza all’altra, da un quartiere all’altro, da un paese all’altro: dopo pranzo (quel pasto consumato in compagnia di piccioni, randagi e palazzi vomitevoli, ché dall’interno parevano contorcersi dalle urla e dal malessere dei guai normali) sedeva ai piedi di una chiesa, una fontana, un arco ben protetto e scartava l’involucro ricco di verdura e frutta ricevuto in compenso per i servizi che dispensava. Le sarebbero stati di maggiore utilità monete e denari, ma i paesani, la gente senza pretese, immaginava di far del bene approfittando dei doni della terra. La veterana accoglieva ogni offerta come fosse l’unica risorsa che sotto quel cielo potesse ricevere, e così era per la verità.
Sono ghirlande di versi. Ne prenda una, così  vediamo cosa le capita”.
Sceglieva il ‘benvenuto’ a seconda dell’interlocutore e sapeva come rompere gli indugi scavando nei difetti e nell’umanità dello stesso senza per questo approfittare del suo tempo, anzi offrendo il sollievo di chi ben conosce i guai seri. Ad ogni consenso, un inchino; per ogni rifiuto un ‘grazie’. Poi via di nuovo su quella strada, col suo vecchio carrello rosso da massaia, che le recava il solito disturbo e rumore, sebbene abituata.
Taratarata-ta-ta.
Taratarata-ta-ta.
Offriva versi, pensieri, canti, aforismi, tutti manufatti a mo’ di portacandele, portagioie, portafotografie.
Maria Pia, ci ha da darmi qualche bel rimprovero? Ne ho bisogno per sciogliere i nervi”.
Lo spione continuava a infastidirla ogni volta che attraversava il piazzale del campo santo. Giaceva lì in cerca di fortuna buttando sempre un occhio a quanti mancavano.
Per ogni defunto ci sono almeno cinque visite mensili, coniuge, figli e qualche volta l’amante” diceva.
I defunti solitari e senza fiori erano i prediletti dello spione ché si domandava tutte le volte se fosse mai possibile che in vita il povero cadavere non avesse mai fatto del bene almeno per una volta.
Che ci hai da lamentarti? Ti chiedi mai piuttosto se qualcuno verrà mai a trovare te?”
Lo spione sorrideva e beveva una bestemmia dalla sua bottiglia preferita: mandava giù tutto d’un fiato il vino acido del suo fiasco affinché nessuna cattiveria contro la veterana le venisse fuori incautamente.
Quando hai imparato a scrivere versi?”
”Quando mi hanno cacciato di casa”
”Eri già fuori di testa da allora?”
”Ero già fuori di casa e basta”
E si allontanava ancora per quelle strade di rumore e solito Taratarata-ta-ta taratarata-ta-ta da carrello rosso di massaia.

Le faceva tanto rumore il cuore, s’incagliava sempre sulla strada e sperava che alla tappa successiva, all’ennesima ghirlanda offerta ne ricevesse in cambio un passaggio di benevolenza, un sospiro di verità, il candore di un’emozione sincera. Sceglieva orari insoliti per affrontare la strada, come insolita fu quell’uscita di tantissimi anni prima, per andare incontro al suo innamorato, nell’ora tarda.
”Ehi ragazzina, ti serve un passaggio?”
Non conosceva il ghigno che si nascondeva dietro la cortesia, non sospettava  l’insulto vestito a festa in atto di galanteria, non immaginava il male vestito in modo così elegante e sorridente.
”Grazie” e accettò il passaggio.
Non perse distrattamente l’orientamento ma con l’astuzia di chi procede spedito e spietato verso il suo obiettivo, il galante cattivo vestito a festa la condusse all’unico indirizzo in cui la bestialità umana può dirigersi: il parco della violenza. In quel luogo scaraventò l’ingenuità, i sogni e il senno di Maria Pia; tutto lì lasciò il famelico e bavoso falso uomo, ché ormai in bestia si era tramutata la sua indole già in altre occasioni manifestata.
Lasciò i sogni, il senno e la sua prima femminilità Maria Pia e scelse il nome che poi ricordano ancora oggi: la veterana, forse perché in certe situazioni non c’è nulla da imparare ma solo tutto da dimenticare. Non era più Maria Pia, era ciò che la bestia le aveva lasciato con un solo tocco della sua indomabile violenza.
Non accettava passaggi, non accettava inviti, non accettava le facili promesse: accoglieva solo la strada e quel fastidioso Taratarata-ta-ta taratarata-ta-ta che le segnava il cammino e le riproponeva, sebbene a piedi e sui passi pesanti, un fastidioso ricordo, con la disperata speranza di trovare un giorno quella bestia indomabile e servirgli una delle sue ghirlande. Una ghirlanda speciale, singolare: il suo pianto e i suoi versi di denuncia urlati al mondo e al cielo, ché così almeno qualcuno avrebbe potuto davvero ascoltarla.
Per non sentire più il fastidioso Taratarata-ta-ta taratarata-ta-ta accompagnava il suo vecchio carrello rosso da massaia, quell’ingranaggio che ormai batteva e tartagliava da troppi anni.

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